Identità e Paesaggio: l’intervento del Professor Ugo Morelli

Nell’ambito della conferenza Identità e Paesaggio, evento di lancio del Progetto Paesaggio Identità e Percorsi – coprodotto dal Comune di Avigliano con la Fondazione Matera Basilicata 2019 per Capitale...

Nell’ambito della conferenza Identità e Paesaggio, evento di lancio del Progetto Paesaggio Identità e Percorsi – coprodotto dal Comune di Avigliano con la Fondazione Matera Basilicata 2019 per Capitale per un giorno – tenutosi a Avigliano il 18 maggio, abbiamo avuto il piacere di ascoltare il Professor Ugo Morelli, Docente di Scienze Cognitive applicate all’Università degli Studi di Napoli Federico II e uno dei massimi esperti di paesaggio e beni culturali di rilievo internazionale.

Viene da Trento ed è molto legato alla nostra terra, come ci ha detto nel suo brillante intervento in quella giornata di approfondimento. La sua presenza è legata infatti sia alla sua storia personale del suo legame con questa terra, sia alla storia legata al nostro territorio, al suo passato e inevitabilmente al suo futuro.

Per guardare avanti però dobbiamo necessariamente fare uno sforzo di immaginazione e quindi di progettualità cambiando l’impostazione tradizionale di pensiero: dal paesaggio come oggetto di contemplazione e come fatto estetico, che pure è importante, al paesaggio come equilibrio demo-economico di un popolo, ossia l’equilibrio che si sviluppa dalla economia e dalla demografia di un luogo.

Quando parliamo di paesaggio infatti parliamo anche di aria, parliamo di acqua, di suolo, di urbanistica, di rapporto tra soggetto e ambiente, cioè parliamo della vivibilità di un territorio. E la vivibilità deriva proprio dall’equilibrio demo-economico che le popolazioni dei singoli territori riescono a stabilire con i luoghi in cui vivono.

In questa nuova prospettiva il paesaggio diventa dunque ciò che i residenti ne fanno, il territorio, l’ambiente, il paesaggio sono ciò che coloro che ci vivono ne fanno e quindi il passaggio fondamentale è quello di provare a connettere potenzialità dei territori e opportunità che corrispondano alle capacità messe in campo dalle risorse umane, soprattutto dai giovani.

Ne deriva una forte responsabilità per tutti noi in termini di progettualità e di scelte strategiche per la nostra terra, per la nostra identità, per il nostro futuro.

Ma ora seguiamo il brillante intervento del Professor Morelli:

 

TESTO INTEGRALE DELL’INTERVENTO DEL PROFESSOR UGO MORELLI

Sono particolarmente contento di essere qua perché ci sono poche occasioni, faccio una confidenza in apertura, che danno soddisfazioni a chi fa il mio mestiere, più di quelle in cui si fa un lavoro in cui si è invitati da una persona che è stato tuo allievo. Questo è il caso di Luciano Donato Marino che ho avuto allievo di un master in Management turistico a Venezia parecchi anni fa. Dopodiché con lui, con Franco Di Bello, con Concetta Santarsiero abbiamo continuato a mantenere un dialogo, realizzando anche delle attività di particolare rilevanza, una delle quali vorrò citare fra un momento.

Corre l’obbligo a me di giustificare da dove traggo le informazioni che userò in questa breve riflessione. Abbiamo studiato nel corso degli ultimi quindici anni il tema del paesaggio nella scuola per il “Governo del territorio e del paesaggio del Trentino Alto Adige”, abbiamo poi avuto l’opportunità di porre il paesaggio al centro del piano urbanistico di queste due province autonome e di candidare le Dolomiti a patrimonio mondiale dell’umanità ottenendo il riconoscimento e all’interno di questo disegno poi a me è capitato di progettare e dirigere il master “World Natural Heritage Management”, e cioè master europeo della gestione dei beni naturali”.

Queste realtà sono diventate centro di ricerca importante quindi abbiamo potuto studiare il paesaggio dal punto di vista della percezione del paesaggio, della sua struttura, della sua rilevanza economica e della funzione che oggi svolge nella nostra contemporaneità come già il professor D’Andrea indicava prima.

Attualmente accanto alle attività che ho già citato svolgo attività di ricerca e docenza all’Università degli Studi di Napoli dove alla facoltà di Architettura da laico perché non sono un architetto, mi occupo di scienze cognitive, studio i comportamenti umani da un punto di vista in particolare delle neuroscienze sociali, insegno scienze cognitive applicate al paesaggio e alla vivibilità.
Sono particolarmente legato alla vostra terra, infatti mi sono premurato di arrivare oggi ad Avigliano con un certo anticipo per ripercorre le strade del centro storico, dove moltissimi anni fa ho acquistato una tavola per produrre gli strascinati da un signore che si chiamava Pietro Pace, che conservo ancora in soggiorno. E poi grazie sempre al contatto con Etn, allora non si chiamava Etn, abbiamo potuto dirigere al Castello di Lagopesole un master in Management dei Beni culturali, svolto a favore di 15 giovani lucani. Questo mi ha permesso di approfondire l’amore che ho per questa terra, che veniva da lontano, io ho combinato i miei studi con gli studi antropologici, e quindi avevo avuto e ho una passione per i lavori di Ernesto De Martino. Ecco questo è il background, scusate se mi sono permesso però voi avreste potuto chiedere “Perché questo è qui?”.

Non è un essere qui casuale, è un essere qui legato ad una storia, nel senso che la vostra realtà è iscritta nella storia, anche personale. Ebbene dobbiamo parlare di paesaggio. Vorrei invitarvi a fare un piccolo spostamento mentale. Immaginare cioè che il paesaggio lungi dall’essere la bella cartolina, la bella veduta, il bel panorama, quella cosa che fotografiamo con il teleobiettivo spesso per evitare di cogliere anche le brutture che stanno intorno alla parte che poi vogliamo mostrare ai nostri amici quando torniamo da un viaggio. Lungi dall’essere solo questo, cioè oggetto di contemplazione, oggi assume una connotazione del tutto diversa, del tutto nuova. Ed è avanti che dobbiamo guardare parlando di paesaggio, cioè dobbiamo uscire dalla tradizione che ne ha fatto un oggetto di contemplazione, che pure è un fatto importante sia chiaro.

Ma abbiamo bisogno di renderci conto di che cosa è diventato il paesaggio oggi, associato all’economia dei luoghi, alla demografia dei luoghi, cioè all’equilibrio demo economico che i singoli luoghi riescono a realizzare per perpetuare e rinnovare la propria storia.

Quando parlo di equilibrio demo economico parlo del rapporto tra capacità umane e opportunità per quelle capacità in quei territori. Perché com’era non solo sotto traccia nella riflessione del professor D’Andrea, il paesaggio non è appunto la veduta, ma è ciò che i residenti ne fanno, il territorio, l’ambiente, il paesaggio sono ciò che coloro che ci vivono ne fanno. E quindi qui ne deriva una forte responsabilità per connettere capacità e opportunità. Ma cercherò di essere più preciso fra un momento. Noi abbiamo un’indicazione che è stata più volta ripetuta qui stasera e viene dalla nostra Costituzione e quell’articolo, l’articolo 9, come già il professor D’Andrea richiamava, è studiato nel mondo perché è sostanzialmente un unicum nel diritto costituzionale comparato. Ma c’è un piccolo problema, che anziché teorizzare più di tanto vi voglio indicare con un evento che mi è capitato di vivere qualche mese fa negli Stati Uniti alla Columbia University. In quella situazione dove io ho ogni tanto delle attività c’è un mio amico di origine israeliana che si chiama Ercolon Goldberg e come me si occupa si studio della mente, del sistema cervello mente, del comportamento umano.

Una mattina mentre bevevamo il caffè, Ercolon aveva con sé una copia del The New Yorker che è come noto un’importante rivista settimanale americana e non solo. Questa rivista come accade anche nei nostri magazine ha nella penultima pagina una vignetta, una vignetta sempre molto sapida, molto ironica, molto ben fatta. In Italia c’era stato uno degli ennesimi eventi di distruzione del patrimonio culturale. Ercolon è arrivato da me e sorridendo mi ha detto “guarda qui!”. Sulla vignetta la scena era la seguente, c’era uno che diceva ad un altro “ma sai che più della metà del patrimonio culturale mondiale è in Italia?” e l’altro diceva: “si lo so, è il resto è al sicuro”.

Naturalmente ho elaborato con un po’ di ironia con il mio amico Ercolon questa vignetta, ma voi capite perché ve la cito. Ve la cito perché pur noi continuando a far riferimento al paesaggio come la bella veduta, il bel panorama, il bel Paese, beh insomma se ci guardiamo intorno non abbiamo fatto di questo patrimonio straordinario ciò che la Costituzione ingiungerebbe a fare e purtroppo non induce a fare. Ma questo problema non è solo un problema estetico cioè legato alla bellezza o alla bruttezza dei luoghi, al fatto che le periferie dei nostri paesi hanno assunto dopo un certo periodo delle configurazioni particolarmente problematiche rispetto alla vista e alla visione. Ma ha implicazioni più profonde ed è su quello che siamo chiamati a riflettere e se ho capito bene è su quello che il progetto Etn si propone di riflettere.

E allora andiamo a vedere di cosa stiamo parlando quando si parla di paesaggio se il paesaggio non è solo visione. Ebbene parliamo di aria, parliamo di acqua, parliamo di suolo, parliamo di urbanistica, parliamo di modi dell’edificare, parliamo di rapporto tra soggetto e ambiente, cioè parliamo della vivibilità. Ma che cos’è la vivibilità?

La vivibilità deriva dall’equilibrio demo economico che le popolazioni dei singoli territori riescono a stabilire con i luoghi in cui vivono. Che cos’è l’equilibrio demo economico? Mi piace dirvelo con un esempio molto semplice. Supponiamo che ad Avigliano ci sia, siamo ad Avigliano stasera ma potremmo usare un altro comune della Basilicata, un altro comune italiano, un altro comune del Sud Italia.

Ad Avigliano ci sia una studentessa o uno studente che si sta specializzando in maniera particolarmente efficace in un ambito che potrebbe essere l’economia, il diritto, la medicina, l’urbanistica, l’architettura, e quindi stia elevando con investimento suo e della propria famiglia la propria capacità. Sta finendo gli studi e se voi andate, cosa che io faccio perché questo è il mio mestiere, nella mente di questo ragazzo voi trovare un tarlo. Questo tarlo è fatto di una domanda inquietante perché come aveva detto Ernesto de Martino “Ognuno di noi ha i piedi in un posto e solo se abbiamo i piedi in un posto possiamo concepire il futuro”. Il tarlo di quella ragazza o di quel ragazzo è “E adesso che cosa ne faccio di questa mia capacità?”. E allora che cosa succede? Se ha una buona idea di se stesso, un buon rapporto con se stesso non si tradirà e cercherà un luogo dove quelle capacità incontreranno un’opportunità che corrisponde abbastanza bene alle aspettative che si è creato giustissime e legittime. Delle due l’una, o incateniamo quella ragazza o quel ragazzo con forme assistenzialistiche di diversa natura, o lo leghiamo a qualcuno che poi magari lo trasformerà per un certo periodo in un piccolo portaborse trasformandolo in una mezza calzetta che poi magari si candiderà politicamente perché arrancherà per realizzarsi. O se ne andrà a cercare le opportunità che corrispondono alle sue capacità e se siamo civili e degni di un senso di presenza e umanità dobbiamo dire che fa bene. E allora che succede? Succede che producono quella che un grande premio Nobel dell’economia così chiamato, Kenneth J. Arrow, vincendo il Nobel per questa teoria, ha chiamato Selezione avversa.

Cos’è la selezione avversa? È quel processo in base al quale a un certo punto i sistemi cominciano, siccome in italiano “selezionare” vuol dire almeno due cose, vuol dire scartare o scegliere, a un certo cominciano a scartare le risorse migliori.

Perché come mi ha detto una volta un vecchio che vive sulle Dolomiti dove io mi ero ritirato in un paese della Val di Ranui dove mi ero ritirato per finire di scrivere un libro, “dove non c’è più l’uomo non c’è più la via”. E allora l’equilibrio demo economico è quel rapporto tra le opportunità che si creano in un territorio e le possibilità per le risorse umane di quel territorio di investire le proprie capacità in quel territorio. Che cosa sta succedendo in Italia voi lo sapete bene, e non sta succedendo solo in Italia. L’economia dei flussi di cui parlava Luciano Marino prima è sicuramente una realtà importante con cui non possiamo fare i conti, ma le singole realtà territoriali come quelle italiane devono chiedersi quali sono le loro effettive potenzialità. L’economia dei flussi è Coca cola, economia dei flussi è Tesla, economia dei flussi è Mc Donald, economia dei flussi è ciò che ci passa sopra la testa.

Ma non è solo l’economia dei flussi l’economia del tempo attuale. Questa economia dei flussi si combina con l’economia dei luoghi. E che cos’è l’economia dei luoghi? È la capacità delle comunità residenti di smetterla di concepire l’identità come la cenere da custodire come aveva detto Mahler quando scrisse la prima sinfonia e siccome la rappresentazione a Vienna non andò molto bene e una giornalista della Frankfurter Allgemeine chiese a Mahler “Ma scusi ma lei perché ha introdotto così tante novità in questa sinfonia da ottenere uno scarso successo della sua prima rappresentazione?”. Mahler indignato rispose, ed era Gustav Mahler, “C’è chi passa il tempo a coltivare la cenere, il mio compito è tenere acceso il fuoco”.

Allora il problema è che spesso le tradizioni dei nostri territori vengono utilizzare come istanze contemplative con la testa rivolta all’indietro. L’identità è davanti a noi se ce n’è una, non è dietro le spalle, l’identità è un processo costantemente in divenire, è sulla carta di identità, cioè un documento amministrativo, che c’è un’istanza fissa, ma anche lì la foto la cambiamo ogni cinque anni, o ogni dieci perché non vale più.

L’identità è un processo sistematico di individuazione, un processo sistematico di creazione, un processo sistematico di costruzione, ma sapete quante volte io mi sono chiesto dove sono i quindici allievi del master in Management della cultura che abbiamo formato a Lagopesole grazie all’impegno di Luciano Marino e Franco di Bello. Quante opportunità hanno trovato in questa realtà per esprimere la professionalità che abbiamo cercato di fornire loro. Questa è la domanda fondamentale. E allora se il paesaggio non è il luogo della contemplazione, ma è il luogo della continua costruzione di ciò che ne fanno i residenti. Noi dobbiamo renderci conto che il paesaggio della Lucania, il paesaggio della Basilicata, come la vogliamo chiamare, è un paesaggio che oggi nel tempo attuale come economia dei luoghi ha delle potenzialità distintive straordinarie.

Ma è fondamentale però che smettiamo di guardare a queste potenzialità o vituperandole un po’ qua e là ci sono delle alterazioni sul territorio che sarebbe stato meglio che non ci fossero, ma non solo, abbiamo bisogno di immaginare, come diceva il professor D’Andrea, che è ciò che adesso noi ne facciamo in termini di progettualità che fa di questo paesaggio l’effettiva potenzialità.
E Allora abbiamo la straordinaria eccellenza di Matera Capitale della cultura è molto importante che questa straordinaria vicenda venga distribuita sul territorio come è stato scelto di fare e questo dà l’opportunità stasera qui ad Avigliano di essere Capitale per un giorno. Ma attenzione a fare in modo che questo diventi un dietro per un processo di sviluppo e non diventi un evento una tantum a un certo punto per cui Matera si isola dal resto del sistema e diventa oggetto di un’eccessiva frequentazione, perché poi c’è anche questo, che però somiglia più a un processo mordi e fuggi che a un processo che feconda finalmente il territorio e ne produce una possibile evoluzione.

E chi produce una possibile evoluzione se non le competenze investite nei territori? Perché finalmente, cominciamo a fare un po’ di ragionamento, si smetta di parlare di gastronomia in maniera solo rapsodica e contemplativa, per cui le cose si traducono in provvisorie abbuffate ma non generano un’effettiva capacità di valorizzazione dei prodotti locali in scala internazionale.
Il problema è che se i cinesi riconosceranno il vino lucano e a quali condizioni lo riconosceranno, non tanto perché a un certo punto questa cosa, è il vino è paesaggio. Abbiamo bisogno di riconoscere in che modo miglioriamo la nostra capacità di accoglienza, e quindi in che modo la connettiamo ai prodotti tipici e alle straordinarie potenzialità territoriali. Io personalmente che non sono un tour operator credo di aver mandato ad Acerenza non so quante persone che studiano storia dell’arte che non sapevano neanche della esistenza straordinaria di questa Cattedrale e delle altre potenzialità che ci sono. Non sapete quanta gente è venuta a quello che da neofita ho costruito come itinerario dei Castelli federiciani connettendo Melfi a Lagopesole e cose di questo genere, con la semplice iniziativa di un individuo che conosce gente e gli dice “ma tu sei mai stato in Basilicata? Ma guarda che è una delle realtà più belle d’ Italia, l’hai mai vista?” “E che cosa trovo in Basilicata?” È facilissimo connettere questi elementi e farne una rete di opportunità. Abbiamo bisogno di competenze professionali che lo sappiano fare, abbiamo bisogno di capacità investite nei territori, abbiamo bisogno che finalmente ci si renda conto che il paesaggio oggi è il luogo della vivibilità possibile. E guardate un altro passaggio importante è questo.

Attenzione a non concepire il paesaggio solo come qualcosa da vendere. Perché la prima condizione in una prospettiva di distretto culturale evoluto è che siano i residenti ad emanciparsi e a conoscere finalmente i propri patrimoni perché solo se questo accade ne parlano, come diceva il professor D’Andrea, con i propri figli e socializzano alla valorizzazione e al riconoscimento di quello che accade. In questo senso noi siamo un paese sciagurato. Guardare che non molti anni fa intorno alle colonne dei templi di Paestum venivano legate le vacche con le funi. Allora il problema è questo. Se non abbiamo una comunità locale emancipata, noi non abbiamo una comunità locale che è capace di riconoscere i patrimoni per se stessi prima di tutto, e poi per poterli vendere. Non è stato facile per me percorrere i vicoli del centro storico di Avigliano oggi pomeriggio perché a circa dodici tredici anni da quando li avevo percorsi l’ultima volta io mi sono ritrovato in un semideserto. E questo deve far riflettere perché invece questa meraviglia urbanistica e questa meraviglia culturale può essere valorizzata purché ci sia la consapevolezza che questo è il paesaggio, cioè lo spazio della nostra vita. Perché lo spazio della nostra vita sia fruibile principalmente da noi, e poi dagli altri.

C’è un ultimo passaggio su cui mi voglio soffermare. Oggi il paesaggio non si lega solo all’economia dei luoghi e alla vivibilità, ma si lega anche a qualcos’altro di particolarmente più importante che riguarda tutta l’umanità sul pianeta Terra. E noi su questo stiamo lavorando. Si lega al fatto che le risorse fondamentali che lo costituiscono, cioè l’aria, l’acqua, il suolo, il cibo, le culture locali, si misurano con un problema che l’umanità non ha mai avuto. Io sono cresciuto tra Napoli e l’Irpinia, e poi ho girato il mondo e quindi ho perso anche l’accento purtroppo, correvo inseguito da mio padre nella nostra campagna irpina per gioco ovviamente e bevevamo acqua dai canali, mangiavamo frutta prendendola direttamente dagli alberi e respiravamo a pieni polmoni. In una vita, che tutto sommato è un periodo breve, io oggi mi chiedo  “Ma che aria sto respirando”, “Ma quest’acqua sarà potabile?”, “Quanto veleno c’è in questa mela?” “Sarà commestibile questo cibo?! “Quante componenti chimiche ha dentro?”. Questo è il problema epocale dell’umanità sul pianeta Terra. Se si capisce questa cosa, luoghi come la Basilicata possono diventare isole di senso, mete di turismo dolce e di una teoria e di una prassi della vivibilità che sono straordinariamente importanti nel tempo in cui viviamo, laddove le risorse fondamentali di natura esistenziali diventano queste. Perché nonostante la rete, nonostante la dematerializzazione nonostante la virtualità io ho comprato il pane per portarlo a mia madre stasera, continuiamo a mangiare il pane. E questo è un fatto fondamentale. Quindi se i luoghi riescono a riconoscere questa variabile critica fondamentale che oggi è una variabile critica di successo del sistema globale hanno una potenzialità straordinaria purché riconoscano il paesaggio come spazio di vita, e riconoscono che il paesaggio è un’istanza demo economica e culturale, e quindi può essere luogo dell’investimento di elevatissime capacità sui territori. Prima parlavo con Franco Di Bello e con questo concludo e gli chiedevo di suo figlio Michele che io ho conosciuto quand’era un bambino piccolo con i capelli nerissimi come Franco aveva, adesso un po’ meno, ma io non li ho neanche più. Mi ha detto cose molto belle di suo figlio, io m’informo sempre quando lo vedo su quel bambino che ho conosciuto anni fa. Suo figlio ha una grande passione e mi diceva “la domanda che mi faccio è come valorizzerà questa sua passione?”. Ma vi rendete conto che in un Paese come questo, e in una regione come questa, un genitore si debba fare una domanda del genere? Laddove i patrimoni disponibili esigono una professionalità di quel genere per essere adeguatamente valorizzati. E stiamo parlando di scienze classiche, di umanesimo, ma potremmo parlare di virtuale, potremmo parlare della fruizione virtuale dei beni culturali di cui parlava il professor D’Andrea, potremmo parlare della capacità di valorizzazione dei prodotti specifici della terra, e avanti discorrendo.

Ma abbiamo bisogno di formare le professionalità perché ciò accada e abbiamo bisogno di scelte politiche che siano in grado di creare opportunità coerenti con questi territori. Allora sì che scopriamo che il paesaggio è lo spazio della nostra vita e che il paesaggio può essere il futuro identitario di questi territori.

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