Le metamorfosi (L’asino d’oro) (Recensione) prima parte

Titolo originale: Metamorphoseon libri XI (lett: “Gli undici libri delle metamorfosi”)

Altri titoli: Asinus aureus (L’asino d’oro)

Autore: Lucio Apuleio (Madaura,125 – 170 circa). Gran parte delle notizie relative alla vita dello scrittore, sacerdote, filosofo e mago latino proviene dalle sue opere. Nato a Madura (nell’attuale Algeria), studiò a Cartagine, poi a Roma e ad Atene. Aderì alla scuola platonica, formandosi una cultura vasta. A Roma divenne avvocato (come d’altronde anche Le metamorfosi indicano). Verso i trent’anni si recò presso l’amico Ponziano, la cui madre, Pudentilla, rimasta vedova, sposò Apuleio, suscitando l’astio dei parenti che invece miravano al suo ricco patrimonio. Fu pertanto accusato di aver sedotto la donna con le sue presunte arti magiche. La difesa di Apuleio fu costituita dalla brillante Apologia, che è anche l’unico discorso d’età imperiale pervenutoci. Dopo l’assoluzione di Apuleio, non abbiamo di lui più alcuna traccia.

Casa editrice: Mondadori
Data di composizione: II secolo

Trama: Come “Storia di una capinera” lo era per Verga, anche le “Metamorfosi” possono costituire per Apuleio un’autobiografia. Infatti, se Lucio è inteso come omonimo dell’autore, egli è una sorta di alter ego letterario, che ripercorre con le sue vicende il vissuto di Apuleio stesso. Il romanzo, dalle tinte mistiche, riflette alla perfezione il clima del secolo, il II d.C., in cui prende le mosse: un’epoca d’incertezza e crisi in cui a prendere il sopravvento è la fiducia dell’uomo nell’esoterismo e nelle arti magiche. Il culto misterico diventa il mezzo di dialogo con una divinità avvertita lontana e disinteressata. Al centro della narrazione di Apuleio c’è infatti l’esigenza di un contatto con la divinità, nel caso specifico la dea Iside. E l’intervento risolutivo della divinità si pone nella narrazione come elemento imprescindibile, in quanto sarà l’ultima tappa di un percorso lungo e sofferente di Lucio nei panni di un asino. Infatti, il giovane Lucio, in viaggio per andare a trovare un amico, Milone di Ipata, in Tessaglia, finisce per sbaglio trasformato in asino dagli unguenti della padrona di casa, Panfile, ritenuta dalla credenza popolare una maga vendicativa e pericolosa. Sbagliando il filtro, così, Fotide, la serva di casa con cui ha nel frattempo intrecciato una relazione amorosa, innesca la serie di peripezie che vedranno dapprima Lucio-asino rapito da una banda di ladroni, poi condotto nel loro covo, dunque spettatore del rapimento di una fanciulla Carite, il cui promesso sposo, Tlepolemo (nelle finte vesti del brigante Emo di Tracia) andrà a liberarla da una morte atroce.

Quindi, Lucio verrà ceduto alla famiglia del guardiano dei cavalli, dove subirà le sevizie del suo padroncino, un ragazzo pestifero e maligno che si diverte a tormentarlo e ad addossargli poi la colpa delle sue bricconate. Di lì viene venduto ai portatori della dea Siria, che, però, sotto il falso nome di sacerdoti compiono i peggiori furti e le più turpi oscenità. In seguito, l’asino Lucio viene comprato da un mugnaio e in seguito da un ortolano, con il quale corre un terribile pericolo in seguito ad una lite con un soldato. Il soldato, che riesce a disfarsi dell’ortolano, prende con sé l’asino, che verrà venduto a due fratelli, uno pasticciere e l’altro fornaio, che lavorano per lo stesso padrone. Quando le doti umane dell’asino vengono alla luce (si rimpinza di ogni leccornia, beve vino, sa sdraiarsi e ballare su due zampe proprio come un uomo), il padrone di casa lo propone per uno spettacolo circense, dove, in seguito alla notte d’amore trascorsa con una nobildonna, gli viene ordinato di fare lo stesso in pubblico con una condannata a morte. Ma Lucio, disgustato dalla bassezza della donna, si rifiuta di esporsi al pubblico ludibrio e fugge in riva al mare dove si addormenta, stremato. In sogno è visitato dalla dea Iside che gli parla del modo in cui può tornare un uomo: il giorno successivo, infatti, Lucio in occasione della celebrazione della dea potrà cibarsi delle rose sacre ad Iside e tornare ad assumere sembianze umane, di fronte allo stupore e non alla malignità del pubblico. Così avviene, e Lucio è così iniziato, per sdebitarsi con la dea Iside del suo aiuto, ai misteri della dea, poi anche a quelli di Osiride.

Confronti letterari:

Già complessa a partire dalla definizione del genere, che oscilla tra fabula Milesia, autobiografia e satira menippea, Le metamorfosi (L’asino d’oro) dell’autore latino Lucio Apuleio costituiscono un’opera tanto misterica nei temi trattati quanto misteriosa nella sua genesi. Infatti, se non fosse per la vasta opera di arricchimento e di sviluppo cui pare essere andata incontro, l’opera risulterebbe niente più che la riscrittura di un romanzo di Luciano di Samosata, Lucio o l’asino, con il quale Apuleio condivide la storia del giovane tramutato in asino in ogni suo sviluppo e in tutti i suoi tòpoi. Essendo però i due autori contemporanei (entrambi vissero ed operarono nel II secolo dopo Cristo), non ci è dato sapere quale dei due romanzi sia nato prima. Sta di fatto che rappresentano l’uno la contaminazione dell’altro, e Lucio o l’asino può davvero essere ritenuto una specie di bozza, di “scheletro” dell’opera apuleiana. Per il resto, la trama è identica. Ma in Apuleio, se è vero che la sua opera è uno sviluppo di quella di Luciano di Samosata, è presente un universo già più evoluto che invece Luciano non sfiora neppure: la sfera divina e del culto, che contrassegna Le metamorfosi in tutti i suoi passaggi. Se da un lato Le metamorfosi è stata considerata sviluppo di nuclei narrativi preesistenti, alimentandosi dal ricco patrimonio mitologico ereditato dalla Grecia classica, dall’altro lato è pur vero che ha funto da “stampo” per la copia di alcuni schemi fissi, i cosiddetti “moduli narrativi”, ripresi da autori di spessore come Walter Scott e lo stesso Alessandro Manzoni. Ad esempio, la figura della vecchia, che Apuleio definisce “gobba per l’età” (curvatam gravi senio), è ripresa da Scott (Ivanhoe)

“Si trovò dinanzi a una vecchia sibilla […]. La strega alzò la testa all’ingresso di Rebecca e fissò la bella ebrea con quella maligna invidia con cui la vecchiaia e la bruttezza, unite a tristi condizioni, sogliono guardare la gioventù e la bellezza” e da Manzoni (I promessi sposi)

“Fece chiamare una vecchia donna […] non era addetta a nessun servizio particolare, ma, in quella masnada di sgherri, ora l’uno ora l’altro, le dava da fare ogni poco; ch’era il suo rodimento […]. I comandi poi di coloro, i rimproveri, i ringraziamenti, eran conditi di beffe e di improperi: vecchia, era il suo appellativo usuale.

In tutti e tre i passi, che ritraggono la figura di un’asservita al potere, una donna rovinata dal tempo, che insieme alla bellezza e la giovinezza ha perso anche la sua dignità, si ravvisa la stessa identica struttura, come a chiasmo: la vecchia, connotata da “vecchiaia e bruttezza”, contrapposte a “giovinezza e bellezza”, è in qualche modo l’evidente antagonista della sua prigioniera, ed è anche anticipatrice del suo arrivo. Perché se analoga a tutti e tre i romanzi è la descrizione della vecchia servitrice, si chiami Urfried (in Walter Scott), o non abbia affatto nome, è allo stesso modo analoga la ripresa del tema della bella rapita e imprigionata. Il ritratto di Carite, la fanciulla della Metamorfosi, è molto simile a quello di Lucia, che dal canto suo nulla ha da invidiare all’ebrea Rebecca. Tutte e tre, quindi, interpretano nel loro romanzo di provenienza il ruolo che nella fiaba è giocato dalla fanciulla rapita a scopo di ricatto o di bramosia, in attesa di essere liberata, e nel mito quello interpretato dalla ragazza punita dagli dei e destinata ad essere liberata da un salvatore, che ovviamente sposerà (come nel mito di Perseo, in cui la bella Andromeda, vittima della vanità della madre Cassiopea, rischia di essere divorata da un terribile mostro marino, ma infine viene salvata dall’eroe). E anche i rispettivi antagonisti delle vicende hanno non poco in comune: i ladroni svolgono in sostanza il ruolo di Don Rodrigo e Brian de Bois-Guilbert, anche se, con il loro covo in cui nascondono le ricchezze che hanno rubato, sembrano più simili ad un altro gruppo di briganti, provenienti da un universo letterario di stampo orientale.

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