Ivanhoe part III

Altra ripresa di un topos medievale è quella del corno d’aiuto, uno strumento utilizzato dall’eroe nel momento di difficoltà. Proprio come se fosse l’elemento aiutante in caso di bisogno...

Altra ripresa di un topos medievale è quella del corno d’aiuto, uno strumento utilizzato dall’eroe nel momento di difficoltà. Proprio come se fosse l’elemento aiutante in caso di bisogno in una fiaba, il corno è utilizzato in Ivanhoe da Wamba per richiamare l’attenzione dell’arciere Locksley, che, udito il segnale, corre in suo aiuto. Il corno da caccia era stato donato proprio da Locksley-Robin Hood al Cavaliere Nero, da utilizzare in caso di pericolo nella necessità di rinforzi. “Con gran pesanza e affanno e con gran duolo/soffia ne l’olifante Orlando”: nella Chanson de Roland, anche il paladino cristiano Orlando suona il corno, detto Olifante, ed emette un suono che “vola lontano, acuto, altissimo”, ma non abbastanza, perché il re Carlo e i suoi non giungeranno in tempo a salvarlo, mentre l’arciere e i suoi uomini arriveranno in tempo a soccorrere il Cavaliere Nero, vanificando l’imboscata tesagli dai suoi nemici. Infatti il Cavaliere Nero-Riccardo si salverà e correrà da Cedric per rivelargli la sua identità. Tutti questi mascheramenti, finzioni, assunzioni di un’altra identità ricordano un altro tema della letteratura, già utilizzato, oltre che nelle opere cortesi e nei romans in cui tipico è il mascheramento del cavaliere per poter accedere alle stanze della dama amata senza farsi riconoscere, anche nella letteratura antica: quello del travestimento. Se analizzato nel contesto specifico del travestimento dell’eroe di ritorno da un viaggio, dopo il quale, per varie complicazioni, non può manifestarsi apertamente, il ritorno del crociato Ivanhoe appare sempre più simile a quello dell’eroe Odisseo. In effetti, in entrambi i casi l’eroe ritorna da un’impresa di guerra ma non si svela immediatamente a tutti, Ivanhoe perché nel mirino di Giovanni “Senzaterra”, mentre Odisseo in quanto la sua reggia è invasa dai terribili principi che aspirano alla mano di sua moglie, i Proci.

La tensione che si crea nella scena in cui ad Ivanhoe, ancora in incognito, viene chiesto di togliersi l’elmo per poter essere premiato a seguito della sua vittoria è simile a quella della scena dell’Odissea in cui Euriclea, riconosciuto Odisseo, sta per gridare dalla commozione, rischiando di informare anche Penelope del ritorno dell’eroe. Ma mentre Penelope saprà solo successivamente che il suo sposo è tornato, attraverso una lunga e graduale agnizione, tutti sapranno chi è realmente il Cavaliere Diseredato, perché, ferito, Ivanhoe sarà costretto a rivelare la sua identità. Il ritorno dell’eroe rappresenta un tentativo di riprendersi un mondo che la lontananza dalla patria gli ha sottratto, una lontananza necessaria in quanto imposta da esigenze morali maggiori proprio relative alla difesa della stessa patria con la guerra. Ivanhoe infatti difende tutti Cristiani, Odisseo combatte in difesa dei Greci. Il tempo però muta la condizione del mondo che l’eroe al momento della sua partenza ricorda, e sta proprio a lui riprendersi l’universo che, sia in Ivanhoe che nell’Odissea, qualcun altro sta modificando. Ma più che Ivanhoe, quello che deve ristabilire l’ordine è Riccardo, a cui il fratello Giovanni ha rubato il trono e vuole procrastinare e osteggiare il suo ritorno in patria, analogamente ad Odisseo, il cui compito è quello di riprendersi il governo della sua Itaca che i Proci minacciano.

Infine, come continuazione del romanzo scottiano, comparve trentun anni dopo la pubblicazione di Ivanhoe, un’opera minore di William Makepeace Thackeray, intitolata Rebecca e Rowena, in cui l’autore si diverte a parodiare, oltre che a fornire un sequel alla storia, il già celebrato romanzo. In effetti, sfruttando la rara forma del seguito parodistico, Thackeray risponde a più d’una richiesta. In primis, senz’altro a spingerlo alla composizione di tale opera furono le presunte critiche che Walter Scott ricevette dopo la pubblicazione del suo romanzo, relative alla scelta dell’autore di far sposare Wilfred di Ivanhoe con Lady Rowena anziché con Rebecca, personaggio di gran lunga più intrigante della dama sassone proprio per la sua difficile classificazione e la sua azione di rilevante presenza nel ritmo degli eventi narrati; inoltre, intento del parodista indubbiamente era quello di dare una svolta ad un’azione conclusasi a detta di alcuni in modo forse brusco e poco soddisfacente. Come soluzione a questi due punti che andavano evidentemente a svantaggio del romanzo scottiano, ecco che compare il “romance upon romance”, altresì detto “romanzo al quadrato”, ovvero una struttura narrativa che sorge proprio a partire dall’opera che si vuole continuare, parodiare o contestare. Nel caso specifico di Rebecca e Rowena, la continuazione vuole essere di comica sovversione dei personaggi per conferire alla storia un taglio più dinamico, che non a caso nel romanzo di Thackeray si ritrovano completamente mutati, a partire da una delle due protagoniste. Rowena, infatti, è adesso presentata come la bisbetica, nevrotica e prevaricante consorte di un Ivanhoe che, seppur conservando parte del suo eroismo già decantato in Ivanhoe, appare tediato e oppresso proprio dalla bella dama. Nel porsi in contrasto con la figura di una Rowena composta, leggiadra e amabile, Thackeray non esita a colpire anche le figure di re Riccardo e Robin Hood: il primo, da valoroso condottiero e personaggio storico quasi idealizzato da Scott, diventa nella parodia di Thackeray uno spaccone grasso e pieno di sé mentre il secondo, arciere infallibile e fuorilegge scottiano, è adesso “Lord Huntingdon” signorotto egoista e sostanzialmente in contrasto con i fuorilegge, perfettamente opposto al Robin Hood generoso e altruista che Walter Scott ricordava. A beneficiare del repentino cambio dei personaggi che le gravitano attorno, Rebecca è trasformata nella legittima consorte di Ivanhoe, l’amore vero ormai concretizzato, abbandonando ogni pregiudizio nei confronti della razza ebraica e di suo padre Isaac di York. Un personaggio, quest’ultimo, che pure subisce importanti modificazioni: ciò avviene soprattutto nell’atteggiamento bieco ed ostile che l’autore Thackeray gli attribuisce verso una figlia per la quale in Ivanhoe nutriva un amore quasi incondizionato. Anche i temi principali del romanzo di partenza trovano spazio nella trasformazione caricaturale: la cavalleria e le crociate non sono più universi nobilitanti, ma improduttive carneficine nelle quali ogni combattente soccombe e nessun valore emerge. Anche l’assedio al castello di Châlus narrato in Rebecca e Rowena è una serie di eventi confusi e assurdi che, peraltro, non porteranno nemmeno alla vittoria, visto che il re morirà.

Il romanzo si conclude con la celebrazione delle nozze tra Ivanhoe e Rebecca, a detta di Thackeray neanche poi così felici (“[…] non credo […] che nel proseguo furono felici in modo esagerato […]); e dunque perché ribaltare tutt’una storia per un lieto fine che non si prospetta così tanto lieto, ma è piuttosto un happy ending frenato? Lecito supporre, allora, che su ogni altro intento prevale in Rebecca e Rowena quello parodistico, che fa del componimento un sequel non autorizzato e impertinente del romanzo di Scott e che, assecondando la vena satirica e rappresentando il divertissement di William Thackeray, sdrammatizza le importanti tematiche di cui Ivanhoe è portavoce. A partire dalla rappresentazione dell’epoca: il Medioevo non è più teatro di virtù cavalleresca e di codici cortesi, ma un medioevo altro in cui i cavalieri feudali leggono il giornale e Riccardo I canta il patriottico inno “Rule, Britannia!”, auto-celebrandosi suo compositore (creando anche vari anacronismi, dato che l’inno nasce molto prima).

Giudizi critici: Immediatamente dopo la sua pubblicazione, Ivanhoe riscosse un sensazionale successo. Forse per l’interesse dell’epoca per un periodo, quello Medievale, che l’autore si era impegnato a tratteggiare con così tante sfumature; forse perché aveva imposto una nuova parola romanzesca influenzando, con gli archetipi presentati, un intero secolo; o forse perché, nella commistione dell’elemento storico proprio della struttura del romanzo e l’argomento presentato di stampo medievale, aveva scavato a fondo nel passato di un popolo per giungere alle sue radici. Secondo una caratteristica tipicamente romantica, infatti, il romanzo di Ivanhoe indaga nel passato per ricercare le radici etniche di un popolo. Si spinge fino all’ultima fase del contrasto tra Sassoni e Normanni per rappresentarne i costumi con verosimiglianza. Apprezzabile questo, da un’epoca che vide sorgere con il romanzo che celebra la Storia un riflesso della propria identità, anche al di là dell’Inghilterra. L’arma vincente di Ivanhoe è l’attenzione al filo logico della storia, che va percorso con concentrazione. Talvolta le ampie digressioni descrittive di paesaggi o monumenti possono far vacillare il patto narrativo, ma è sempre parte della sua ricostruzione storica, e non se ne può fare a meno. Ciò che l’Ottocento apprezzò di Ivanhoe è dopotutto ciò che se ne apprezza tutt’oggi: scandagliare il passato per trovare una chiave di lettura del presente. Nella rievocazione della Storia Walter Scott non fa che riproporre un mondo che, seppur impossibile da attualizzare, connesso alla quotidianità dà valore alla narrazione e si ritrova nel vissuto di ogni lettore. Dopotutto, se i toni chiaroscurali di un periodo medievale apparentemente slegato da ogni riferimento attuale possono destabilizzare, si pensi che l’epoca è un pretesto. La narrazione scottiana prende piede in un periodo, ma è universalmente intesa. “Storia” non è un segmento di retta, ma ciò che la precede e ciò che la segue, per questo è così complesso rappresentarla. Ben intendendo ciò, Scott preferisce alla rappresentazione tout court della realtà, troppo semplicistica e banale, una creazione letteraria di strabiliante complessità, una realtà a tutto tondo, come se fosse un quadro cubista che, di profilo e di prospetto, fornisce una visuale completa dell’oggetto rappresentato. Il paesaggio scottano è per questo ricco di particolari: Scott deve dipingere una Storia che la letteratura intende analizzare in ogni suo dettaglio. E nella scrittura analitico-descrittiva di Scott c’è l’obiettivo primario di giungere al cuore del lettore cercando di suggerirgli, a parte gli spunti letterari da non trascurare, un percorso per origini ed etnico. Rappresentando una realtà diversa da quella attuale, Scott dimostra che la Storia è come uno scrigno, che conserva e preserva dalle intemperie. E’ come un oggetto di antiquario in una teca che ne protegge la bellezza e ne lascia immutato il fascino antico. La Storia è un reperto che va ogni volta rispolverato, ed è perciò che, già nell’Ottocento, Ivanhoe aveva colto lo spirito di tutta un’epoca; qualunque sia il momento in cui lo si rilegge, il medieval romance appare sempre uguale, immutato ed immutabile, anzi ogni volta più interessante. Un’opera che non invecchia, un’opera sempre accogliente e speciale, che, come anche Victor Hugo aveva notato, mette in scena la “veritable épopée de notre âge”.

 

 

 

 

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