Mobilità transnazionale: il viaggio come esperienza di formazione continua

Trattando del tema della mobilità transnazionale, e del concetto di viaggio, in un precedente articolo legato a tali argomenti in riferimento a coloro che siedono con lo sguardo rivolto...

Trattando del tema della mobilità transnazionale, e del concetto di viaggio, in un precedente articolo legato a tali argomenti in riferimento a coloro che siedono con lo sguardo rivolto alla cattedra, è sembrato giusto, oltre che interessante, cogliere lo spirito di una simile esperienza per chi dalla cattedra rivolga lo sguardo ad un costante succedersi di diverse generazioni.

L’alveo nel quale scorre il fiume concettuale in questione non può restare, quindi, che quello della formazione continua, nella quale il viaggio trova un valore tanto simbolico quanto effettivo, e che non esula da chi abbia già avuto modo di esperire, fosse solo per un maggior carico esistenziale trascorso. Se si è detto che la formazione continua è per definizione ininterrotta lungo il percorso professionale di un individuo (e, se vogliamo estendere il concetto in chiave ontologica, all’intera esistenza di un individuo), e che pertanto abbracci anche e soprattutto le carriere di quanti si trovino a dover istruire e formare, è chiaro che il focus debba essere costantemente proteso all’arricchimento mentale e culturale a trecentosessanta gradi, e pertanto all’implementazione delle proprie skills. Una frase che apprezzo particolarmente rimbalza fino alla nostra epoca interconnessa e dinamica attraverso un salto di oltre 2500 anni, dalla Grecia ateniese del politico Solone, il quale scriveva: “Γηράσκω δ’αεί πολλά διδασκόμενος”, ossia “invecchio imparando ogni giorno molte cose”.

In poche condensate parole, la saggezza degli antichi esplica una serie di concetti particolarmente interessanti: che la conoscenza è figlia di una curva di apprendimento dilatata nel tempo, che essa si delinea soltanto con un atto dinamico, e che non esiste dogma che non possa mutare ed affinarsi, in quanto l’idea di una saggezza acquisita ed in acquisizione implica che essa è costantemente perfettibile, e dunque capace di migliorare. L’uomo, e quindi il docente – che è anche discente – non può fermare questo processo, e deve farsene promotore attivo e sollecito in ogni giorno della sua esistenza. Ciò lo dice, ancor prima degli stimoli normativi e dei programmi comunitari, lo spirito dell’uomo, e credo che questo concetto trovi piena rappresentazione, in modo totalmente naturale, nell’atto di viaggiare.

Quale occasione migliore per mettere in atto una tale dinamica di apprendimento se non attraverso un percorso di mobilità transnazionale?

Si è detto che migliorare va di pari passo con il confrontarsi con gli altri, ed attraverso ciò ne discende la possibilità di adottare good practices, con l’auspicio che esse diventino best practices. Pur con tutte le modalità di acquisizione delle medesime offerte dagli odierni strumenti tecnologici, quale mezzo migliore, per un docente, che andare a constatare tali pratiche sul campo, aumentando la propria capacità di discernimento, di setaccio degli elementi positivi da inglobare nella propria esperienza d’insegnamento? Il viaggiare consente di incrociare sensibilità diverse – talora diametralmente – e consente quell’interessante ibridazione che non deve forzatamente coincidere con un’adozione tout court di formae mentis e tecniche non proprie, ma con una ragionata e misurata mediazione, ed assorbimento di quegli elementi funzionali al proprio contesto di riferimento. Se dovessi immaginare un aggettivo adatto a descrivere l’atteggiamento migliore per chi si trovi a vivere un’esperienza all’estero – con la consapevolezza di dover trarre da essa il meglio – utilizzerei l’aggettivo eclettico, nell’accezione di chi osservando qualcosa di differente trae da esso la sintesi migliore e maggiormente funzionale. Condire una tale grande sommatoria di spunti differenti con la possibilità di osservare luoghi densi di storia, cultura ed attestazioni di quella storia e di quella cultura, di approfondire le proprie competenze linguistiche con un approccio diretto, di fare network con persone con le quali a volte è possibile assaporare un campo comune d’esperienza, di circoscrivere e dare senso ad un periodo di differenziazione, esistenziale prima che geografica, nella determinazione della propria esistenza, comunica in maniere eloquente l’importanza del viaggio: viaggiare insegna spesso che la parte più importante sovente si riscontra non solo in cosa si fa, ma anche in come quel qualcosa si fa, e ciò assume l’aspetto di un concetto che si può respirare a pieni polmoni trasversalmente ovunque ci si trovi, dalle scogliere nordiche all’oceano atlantico, dalle pianure dell’est alle isole del sud, tanto per restare con lo sguardo sul continente europeo, ma con un’interpretazione delle cose che può agilmente oltrepassare i confini del medesimo.

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Vincenzo Orsi

Laureato in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Basilicata, ed attualmente studente magistrale in Economia e Management presso la medesima università

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