Il Liceo: racconto di un’esperienza

Ecco le parole di Vicenzo Orsi, studente al primo anno di Economia Aziendale all'Università degli Studi di Basilicata, che ci racconta la sua esperienza durante i cinque anni di scuola superiore

Solitamente è possibile fare un’analisi accurata delle esperienze che segnano il vissuto individuale soltanto quando le stesse sono concluse. Cercare di dare una precisa definizione a persone, luoghi o eventi durante il loro processo di conoscenza complessivo può rivelarsi molte volte contrastante con l’essenza delle cose, per quanto soggettiva. Credo che parlare di un percorso di studi quinquennale quale quello della scuola secondaria di secondo grado, ad appena un anno dal suo termine, significhi non soltanto avere una visione ancora nitida degli eventi sulla propria pelle, ma poterne parlare senza condizionamenti di sorta.

Ricordare l’inizio di un ciclo quando da poco ne è iniziato uno nuovo crea un parallelismo apparentemente scontato, che riconduce alle comuni sensazioni di chi si trovi a dover confrontare con l’ignoto: il timore – positivo e di fatto stimolante – di conoscere una realtà “estranea”, con tutto il carico di ansie ed aspettative tipiche di chi si sia creato un’immagine, puramente idealizzata, di un certo concetto e debba confrontarla con la realtà dei fatti da una parte; il fascino senza tempo di immergersi in una nuova realtà, con tutte le sue caratteristiche da scoprirsi ed assaporarsi istante per istante dall’altra. Quando ho fatto ingresso nel mondo del Liceo, ho da subito compreso come il ricominciare della mia carriera scolastica dovesse accompagnarsi ad una rinnovata conoscenza complessiva delle cose del mondo. Per conoscenza non intendo semplicemente il cumulo di nozioni e la sequenza di concetti derivati dalle ore di studio, ma la possibilit‡ di ampliare la propria visione delle cose, di plasmare quella che potremmo definire una “forma mentis”, letteralmente l’involucro della propria visione del mondo.

Per quanto la mia visione delle cose possa essere ancora solo parzialmente completa – ed è forse questa la sua immutabile e continua condizione – ritengo che il percorso da poco concluso sia stato quello che finora maggiormente mi abbia consentito di approcciarmi alla vita. La vita è l’insieme delle sequenze di eventi che complessivamente interagiscono con noi, ogni giorno, secondo dopo secondo. Approcciarsi alla vita vuol dire avere in sè gli strumenti adatti a farlo, nel modo psicologicamente ed intellettualmente migliore. L’approccio giusto Ë modulato su una buona dose di adattabilit‡ agli eventi e su di una buona propositività. Durante il percorso di scuola superiore, questi strumenti mi sono stati forniti gradualmente giorno dopo giorno, goccia dopo goccia.
Come ogni percorso, anche quello scolastico superiore è stato ovviamente diviso in diverse fasi.

L’inizio ha incarnato la “transizione”, il periodo di adattamento attivo alla nuova situazione, volto in primo luogo ad una maggiore consapevolezza di sè. L’intero primo anno è stato dedicato allo sviluppo di questa progressiva consapevolezza, che mi ha guidato a capire come suddividere le mie giornate, come relazionarmi con l’ambiente e come riuscire a creare, dall’iniziale e ben ipotizzabile entropia, una situazione di armonia. Una volta raggiunta una piena percezione delle cose, è iniziato il processo, durato ininterrottamente per altri quattro anni, di graduale apertura a nuove impressioni, conoscenze ed esperienze.

La possibilità di conoscere nuove persone costituisce l’elemento sicuramente più interessante di tutti. Una delle forze più dirompenti di una comunità è l’aggregazione. Una comunità ardente ed animata quale quella scolastica, composta da persone plasmate sulla stessa vita quotidiana e differenziate dalle singole esperienze personali, trova nell’unione, ed a volte anche nello scontro, il mezzo per risultare vincente. Negli anni da poco trascorsi ho visto inutili conflitti trasformarsi in ottime cooperazioni, gelosie mutarsi in spirito competitivo, e, d’altro canto, nella lotta continua, nell’inutile conflitto, distruggersi amicizie apparentemente solide, sempre perÚ con la possibilità di discernere meglio di prima, di capire più nel profondo quale fosse l’essenza delle cose che si avevano davanti gli occhi. Posso dire anche di aver sicuramente creato fra quei banchi, grazie a momenti di apparentemente insormontabile difficoltà o di felice coesione per qualche successo o qualche fortunuosa situazione, rapporti con amici ed amiche che poi, come ho potuto felicemente constatare, sono durati oltre, solidi quanto prima, a differenza di quanto avvenuto in altre situazioni. Credo che quanto ci abbia insegnato Aristotele definendo l’uomo “animale sociale” io l’abbia visto applicato nel quinquennio come non mai in altre situazioni.

Penso poi ai tanti rapporti, piccoli tasselli del microcosmo umano con il quale mi sono trovato ad avere tante volte a che fare, che hanno caratterizzato le mie giornate: i docenti tanto quanto i membri del personale dell’istituto.

E’ impossibile, per quanto ognuno debba trovare la guida più forte della propria vita dentro di sè, non osservare alla figura di un docente come ad un costante riferimento, come una guida che conduca, attraverso il buio dell’ignoto verso la luce della conoscenza. E’ tanto più forte questa funzione di “guida” quanto più si è inesperti, quanto meno si sappia, avendo fatto, detto o vissuto la vita ancora poco. La scuola secondaria di secondo grado, che guida dentro di sè studenti la cui età va generalmente dai quattordici fino ai diciannove anni, non può che osservare un’evoluzione anche nel ruolo e nella determinazione d’un docente nella vita del singolo studente. Al di là dell’istituzionalità della figura, della “cattedra” che separa e direziona in due prospettive differenti il pubblico degli alunni dalla figura del docente, avere a che fare con i docenti vuol dire in primo luogo avere a che fare con uomini e donne, animati da passioni, squassati da sofferenze, stimolati da sogni e molto frequentemente desiderosi di entusiasmare quanti abbiano intorno. La presenza di input, tanto pi˘ se dotati di una forte motivazionalità, Ë una componente che ho potuto molte volte riscontrare nei docenti che ho incontrato negli ultimi cinque anni. La continua protensione all’approfondimento, ad una educazione trasversale, che si estendesse al di là delle aule scolastiche, e conducesse in teatri, cinema e luoghi d’incontro, ha sempre rappresentato, concretamente ancor prima che idealmente, un forte slancio verso un ideale di istruzione attivo. La recezione dei concetti non può che essere attiva. Non sarei sicuramente sincero se dicessi che essa si Ë sempre configurata in questo modo, ma sono certo di non fare un torto alla verità dicendo che così è stata nella maggior parte dei casi. Far proprio quanto trasmesso consente di possedere dentro di sè un patrimonio nuovo, e con quel nuovo patrimonio edificare la propria vita, una volta che essa si proietti verso l’esterno.

Se dal piano umano e parallelamente sul piano didattico la mia esperienza può dirsi quasi impeccabile, non posso non notare di come la scuola, in Italia, abbia bisogno di un costante potenziamento di determinate materie, in primo luogo da un punto di vista qualitativo piuttosto che quantitativo, ed in secondo luogo senza inficiare il molte volte ottimo substrato sul quale esse vengono a costruirsi. Saper stare al mondo vuol dire anche saper stare in sintonia con quelli che sono gli aspetti dei tempi oggettivamente portatori di positività – positività che si esprime attraverso un maggior benessere, un maggiore livello di sviluppo ed un orizzonte culturale più vasto e più intenso. Credo che una scuola che si impegni attivamente a sconfiggere il morbo dell’analfabetismo funzionale, pericolosamente infiltrato in più strati della società (basti pensare che nel 2018 l’Italia si sia posta in prima posizione fra i paesi europei, con un tasso, tristemente, al 28 %), sia una scuola vittoriosa, tanto quanto una scuola che insegni un approccio diretto ai nuovi strumenti tecnologici, ed agli elementi linguistici indispensabili per approcciarsi correttamente ad un mercato tanto vasto ed interconnesso quale quello attuale, europeo, se non globale. Non è concepibile pensare che quasi un terzo del popolo italiano (e che questa componente sia fortemente rappresentata da giovanissimi), non riesca ad interagire correttamente con i testi o sia incapace di approcciarsi alla realtà con i giusti parametri interpretativi, o ignori addirittura il contesto politico-economico all’interno del quale e dal quale Ë plasmata la nostra società. Se la scuola deve plasmare la potenzialità del presente nel successo del futuro, essa deve accelerare ed intensificare la sua presa sugli alunni, in maniera talora più funzionale ed intelligente che pedante e puramente accademica, consentendo una parificazione, se non un grado di sviluppo superiore, rispetto ad altre realtà scolastiche.

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Vincenzo Orsi

Laureato in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Basilicata, ed attualmente studente magistrale in Economia e Management presso la medesima università

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