Lettera a un bambino mai nato – Parte II

La donna del libro possiede autonomia e autosufficienza, la stessa a cui aspirano le donne di oggi, che rivendicano una collocazione concreta nella società ma non vogliono perdere il...

La donna del libro possiede autonomia e autosufficienza, la stessa a cui aspirano le donne di oggi, che rivendicano una collocazione concreta nella società ma non vogliono perdere il loro legame umano; non escludono ma cercano un nuovo modo di essere madri.

Nella nostra società non c’è spazio per una maternità così intensa, condizione definita dalla protagonista “incerta e terrorizzante”, ma ancor più considerata una prospettiva, dalla quale ogni cosa si riempie di vita, ma perde chiarezza e incute timore, perché è l’ignoto a confondere e spaventare.

E’ in questa mancata consapevolezza delle proprie azioni che si racchiude l’inconcretezza di quanto è affermato e l’inesistenza di un messaggio tangibile rivolto alle donne, in particolare a quelle che proteggono una seconda vita.

Lettera a un bambino mai nato non contiene la chiave di un’universale scelta nei confronti dell’esistenza umana, non detta le regole comportamentali di una madre confusa, ma si avvicina innumerevoli volte ad un decisivo atteggiamento, esprime finalmente un’opinione certa, per poi enunciarne il contrario.

Il libro è dunque il grido di una donna che scava e rivanga dentro se stessa, alla ricerca di una nuova armonia, è l’apoteosi del dubbio, dove le scelte hanno un peso maggiore e sono senza scampo, sono un rischio corso individualmente. In questa struggente insicurezza si cela la sensibilità e l’autenticità del romanzo, razionalità e sentimento si uniscono, meditazione e impulso si confondono nella sofferenza, non è un libro sull’aborto, ma sul dolore e sulla vita. Una vita senza filtri o mitigazioni, senza morali e lezioni dettagliate su come affrontarla, solo come appare, preziosa ed unica, costantemente minacciata dall’amarezza e ornata di felicità, difficile da avvicinare: è la vita che la madre racconta al figlio da quando è solo un embrione, al posto delle fiabe, il cui dolce sapore rende più amara la realtà. Non gli tace le brutture e le malinconie, non gli racconta un mondo di innocenze e gaiezze, perché sarebbe come attirarlo in un inganno.

Gli dice che nascere donna in una società in cui il genere maschile ha imposto la sua volontà, può rivelarsi un’esperienza affascinante che richiede molto coraggio; imparerebbe a battersi per qualcosa, dando un senso alla sua vita, gridando che dentro il suo corpo c’è un’intelligenza che urla di essere ascoltata abbattendo condizionamenti culturali stratificati nei secoli e scegliendo liberamente se dare la vita o meno. Se nascesse uomo dovrebbe affaticarsi ugualmente a reprimere le proprie emozioni in una realtà in cui i sentimenti vanno nascosti e la fatica ostentata, ma la madre si augura che sia dolce con i deboli, feroce con i prepotenti, generoso con chi gli vorrà bene, spietato con chi comanda.

In ogni caso non dovrà mai cedere alla viltà, che corrode e sbrana, appartiene ai deboli e lui non dovrà mai evitare il rischio, scansando la paura: venire al mondo è il primo degli azzardi, vivere è un pericolo ma bisogna affrontarlo perché il nulla è peggiore del nulla. Dunque la donna decide di continuare la gravidanza, nonostante il padre del bambino lo rifiuti insistentemente, rinuncia alla sua indipendenza e si lascia assalire da una nuova vita al suo interno, che respira il suo respiro e cresce con lei. ùDecide di dare un’occasione al suo futuro, stabilisce di non interferire al corso naturale degli eventi, si riempie di speranza e vede in quell’accenno di piccoli occhi una vita diversa e, immaginando di abbracciare suo figlio, intravede l’amore. Gli dà un’occasione, abbandonando l’idea che esso si possa celare nel rapporto tra moglie e marito; nei confronti dell’uomo ha sempre provato ira e pietà, non amore in quanto lo considera quasi una schiavitù, un legame dal quale si esce sempre distrutti, con rimpianti e delusioni e niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.

Nonostante ciò, la Fallaci racconta di una tragica storia d’amore, quella tra una donna e suo figlio, che si nutre di scontri, intolleranze, egoismi, che mostra ora momenti di estrema gioia, ora di fatale disillusione dal triste epilogo simile a quello di Romeo e Giulietta, uccisi entrambi dal loro stesso amore. Così come l’esserino che si apre alla vita settimana dopo settimana, la madre del romanzo si richiude nel suo io più interiore per fare chiarezza su profonde verità. Con lucida razionalità realizza che l’amore è un concetto astratto, che la libertà è un’ingannevole illusione, la famiglia una menzogna, la sopravvivenza una violenza, il domani un imbroglio senza fine. Tutto cambia e resta uguale, riponiamo nella speranza del cambiamento la nostra felicità e, quando ci accorgiamo che ogni cosa è rimasta immutata, sprofondiamo nel buio e in una tristezza che isola e rende ciechi.

Non ci rendiamo conto che abbiamo avuto fiducia di quella ricerca, e la speranza di ciò che poteva accadere ci ha fatto gioire; la vera felicità è allora nascosta nella sua interminabile indagine e lo stesso vale per l’amore. Percorriamo in solitudine una strada piena di contraddizioni e lacerazioni interiori che solo una grande fede può alleggerire, ma l’autrice di Lettere a un bambino mai nato disegna una versione laica di ciò che accade attorno a noi, nessuna Legge superiore detta il comportamento da assumere, enuncia ciò che è giusto o sbagliato e libera dal peso di scegliere.

La madre del bambino non ha più punti di riferimento e le persone che la circondano contribuiscono a confonderla, ma sente che ormai ha perso totalmente la libertà per la quale aveva lottato, costretta a letto per l’incolumità del bambino. Decide allora di intraprendere un viaggio di lavoro, malgrado le avvertenze del dottore e per questo perde suo figlio; la donna si immerge in un modo fatto di incubi, angosce e amare considerazioni, smarrimenti ed un prorompente rimpianto per ciò che abbiamo perduto per sempre, che si frantuma nell’animo e si manifesta sotto forma di una rassegnazione amara e raggelante, come solo l’esistenza umana può essere, con tutte le sue ambiguità e che nonostante tutto, nell’amara conclusione, dopo il tormentato processo interiore in cui viene giudicata colpevole e poi innocente, si disvela in tutta la sua prorompente verità: l’amore per la vita.

 

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